L’utilizzo di spezie nei salumi è fattore di grande importanza ma anche di estrema delicatezza: la quantità utilizzata può condizionare gusto e aroma. I salumi possono essere più o meno saporiti ma devono anche sprigionare il loro profumo: la fragranza della mortadella, il gusto del salame, la delicatezza del prosciutto cotto, e ancora la dolcezza del crudo, il profumo di una coppa o la scioglievolezza di una pancetta.
Le spezie sono sostanze di origine vegetale, in genere di provenienza esotica, da sempre utilizzate sia per insaporire cibi e bevande sia come rimedi farmaceutici. Tra queste le più note sono la cannella, il cardamomo, lo zafferano, l’aneto, i chiodi di garofano, la noce moscata, il coriandolo, il cumino, la senape e tutti i vari tipi di pepe. Gli aromi derivano invece dalle piante aromatiche come l’aglio, l’alloro, il basilico, il ginepro, la cipolla, l’origano, il prezzemolo, il rosmarino.
Le spezie evocano immagini estremamente complesse. Da un lato richiamano le atmosfere misteriose di terre lontane, di culture e civiltà sconosciute raggiunte solo dopo le straordinarie scoperte geografiche di Cristoforo Colombo e di Vasco de Gama. Nel 1497, Vasco de Gama fu autorizzato dal re del Portogallo ad un viaggio di circumnavigazione dell’Africa “in cerca di spezie”; nel 1498, arrivato a Calicut, il comandante mandò un uomo sulla spiaggia per spiegare ai nativi le motivazioni del loro viaggio: la ricerca di cristiani e spezie.
Dall’altro lato, le spezie evocano possibilità terapeutiche inspiegabili perché, utilizzate nella medicina, guarivano mali e alleviavano dolori, senza che i comuni mortali avessero la minima percezione del loro funzionamento; semplicemente ne sperimentavano l’efficacia. Il loro uso si perde così nella notte dei tempi e la loro storia è antica quanto il mondo: la ritroviamo infatti nel Cantico dei Cantici, nei papiri egiziani, nella cultura ayurvedica.
Il loro uso poi attraversa regioni e culture lontanissime, dagli indiani d’America ai cinesi, dagli europei agli indiani, perché erbe e spezie si trovano in natura e l’uomo, ignorando ancora l’utilizzo dei composti chimici, individuava, coglieva, sperimentava e soprattutto sedimentava una cultura della terra e dei prodotti che questa offriva. Cultura che spesso rimaneva appannaggio di pochi associati ad un mondo misterioso e alla trascendenza religiosa.
Per limitarci alle spezie d’uso alimentare, già in epoca romana si utilizzavano quelle provenienti dal Nord Africa. I romani apprezzavano soprattutto il pepe: Apicio, ad esempio, lo cita in tante ricette e Plinio il Vecchio si interroga sul perché questa spezia piacesse tanto. Le circostanze storiche e geografiche ne facilitavano la circolazione: dalla costa meridionale del Mar Rosso si commerciava con l’India che esportava pepe e zenzero, spezie per cui i romani erano disposti a pagare prezzi carissimi.
Nel Medioevo si diffuse la cultura delle spezie anche nei ceti modesti. Una spiegazione accreditata vuole che, secondo le teorie mediche del tempo, le spezie equilibrassero gli umori del corpo, cioè i fluidi che regolavano l’umore e che, non in armonia, potevano portare a malattie. L’alimentazione ricca di spezie poteva così intervenire e contribuire a curare gli squilibri degli umori (teorie che oggi ritroviamo nella medicina cinese). Anche l’abitudine di mangiare prosciutto e melone sembra che derivi proprio dalla convinzione che il prosciutto, salato e caldo sotto il profilo umorale, fosse in grado di contrastare eventuali danni procurati dal melone, freddo e umido.
Dall’inizio del Trecento è ben nota e documentata l’esistenza di veri e propri mercati delle spezie sia nelle maggiori città italiane ed europee, sia nei villaggi di campagna, soprattutto da quando anche i contadini cominciarono ad usare il pepe. Apparvero in seguito vere e proprie spezierie, botteghe dedicate alla vendita delle spezie.
La cucina medievale era ricca ed elaborata, i pasti seguivano numerose regole cerimoniali. Le carni, per esempio, dovevano essere tagliate secondo veri e propri manuali d’istruzione; le spezie erano una presenza necessaria e dominante e venivano usate in abbondanza per i cibi considerati di maggior prestigio come la cacciagione e il pesce. Raramente sulle tavole dei grandi signori si trovavano i salumi o la carne essiccata, affumicata o posta in salamoia; e anche gli alimenti conservati con le spezie erano considerati rustici.
Il prosciutto, per esempio, non incontrava all’epoca il favore dei nobili che potevano concedersi carne fresca, cacciagione soprattutto. I salumi venivano consumati piuttosto dalla nuova classe sociale urbana, quella dei commercianti e degli artigiani, e dai contadini benestanti in campagna. E, non a caso, proprio in epoca medievale fioriscono nelle città le corporazioni dei beccai, dei salaroli, dei salcicciai, dei lardaroli, primi esempi di ceto medio in epoca medioevale.
Dal Settecento, l’uso delle spezie fu limitato quando entrò in auge la cucina francese, elaborata ma più delicata nel gusto e portata a valorizzare il gusto naturale dei cibi. L’unica spezia che continuò ad essere utilizzata fu il pepe nelle sue varie modalità.
Il Settecento segnò anche la fine della teoria degli umori a fronte di nuove scoperte e di nuovi metodi scientifici.